giovedì 1 maggio 2014

Senna, 20 anni dopo: Ayrton è sempre un mito


VENT'ANNI non bastano per cancellare un mito. Se qualcuno osasse, ci sono due milioni di bambini poveri brasiliani a ricordare il più grande di sempre studiando e sognando un futuro grazie ai soldi della Fondazione che porta il suo nome. Ayrton Senna era ed è ancora il Brasile, vent'anni dopo quel terribile schianto, quel maledetto 1 maggio del 1994 che all'autodromo di Imola sbriciolava la sua Williams e portava via la sua classe immensa e il suo sorriso bello e triste. Erano le 14 e 17, un'ora che nessun brasiliano riuscirà mai a dimenticare, più ancora delle 18 e 40, quando il suo cuore ha cessato di battere, quando la devastante frattura al cranio ha costretto alla resa un fenomeno che sembrava invincibile. Perché è già al momento dell'urto, alla curva del Tamburello, maledetto quel piantone dello sterzo che va in tilt, che tutti avevano capito. Senna, 34 anni compiuti da poco, in pista non aveva rivali, soprattutto sul giro veloce, come dimostrano le sue 65 pole position, soprattutto sotto la pioggia, con quella definizione di "mago del bagnato" che gli faceva dribblare ogni pozzanghera e superare qualsiasi rivale. Ma di fronte al destino che si mette di traverso, alla morte, non puoi avere scampo e nemmeno il più grande pilota di tutti i tempi può resistere.

Di quel giorno restano indelebili choc e lacrime. Per far capire quanto fosse amato dal suo paese, basterebbe raccontare certe richieste che provengono dal Brasile agli inviati sul posto. Normale l'ordine di raccontare il dolore, la tragedia, di andare all'ospedale, di seguire la salma nel ritorno in patria. Ma c'è anche un'inchiesta giudiziaria, un processo, un autodromo sequestrato, si sa che la giustizia italiana non è proprio celere e poi l'episodio è delicato e controverso, oltreché tremendamente grave, ma a qualcuno viene addirittura chiesto di non tornare a casa fino a quando non sarà stata emessa la sentenza, non saranno stati resi noti colpevoli, in altre parole, diversi anni o giù di lì.

Perché Senna con i suoi trionfi, con la sua bandiera verde oro che sempre sventola sul podio, è il cuore del Brasile, più ancora dei miti del calcio, Pelè o Garrincha, e il cuore del Brasile non può morire, chi ha osato portarlo via deve pagare. Senna è felicità, orgoglio, riscatto, è ambasciatore perché è amato da tutto il mondo, qualunque sia il colore della sua macchina, perché è anima e brividi, esalta, guida come un Dio, vince. Senna da San Paolo, la sua città natale, divide anche, quei duelli all'ultima sportellata con Prost, quell'odio mai nascosto con il rivale francese, ma anche quell'ammissione, "siamo diversissimi, opposti, ma non potrei mai correre senza di lui", che inneggia alla battaglia, riempie di adrenalina, e sa tanto di uomo vero, normale, alla portata di tutti.            

Senna è mito anche per come si arriva alla sua morte, i tragici momenti prima, quella vigilia così inquieta, già segnata da terribili incidenti, quello del venerdì, per fortuna senza conseguenze, dell'amico Barrichello, quello tragico del sabato, con la morte dell'austriaco Ratzemberger alla curva Villeneuve. Ayrton, 34 anni, già tre mondiali vinti, in quelle ore è inquieto: non vorrebbe correre, troppi foschi presagi, regala ai posteri una frase tremenda, "siamo pagati per divertirci, per appassionare la gente, non per morire". Senna vorrebbe rinunciare, però sa che non può permetterselo: al sabato è stato il più veloce, la solita pole, la domenica ha la bandiera dell'Austria, la sventolerà sul podio, per onorare la memoria del collega scomparso.  

Il destino non glielo permetterà, quello stendardo verrà ritrovato sporco di sangue, assieme ai resti di una Williams, a cui mai si era adattato. Troppo stretto l'abitacolo, troppo difficile da guidare e troppo complicato forse è anche il rapporto con il team. Eppure lui è un tipo conciliante. Di origini borghesi, sa farsi amare da tutti, anche dai poveri. Ha un carattere forte, ma anche garbo ed educazione, con quell'ossessione di pace interiore che cerca sempre in Dio. Predestinato, ha fatto capire sin dagli esordi che potrà diventare immenso. Nelle serie minori macina successi e quando nel 1984, alla guida della Toleman, fa il suo esordio in Formula Uno nel gp di casa, in Brasile, si capisce subito che con quel pilota scatenato tutti dovranno fare i conti. La scuderia è piccola, ma basta una goccia di pioggia e lui diventa irresistibile, con un secondo posto a Montecarlo. Certo con la Lotus, più ambiziosa e ricca, è più facile, sette pole position nell'85, sul singolo giro nessuno riesce a stargli dietro. Per vincere il Mondiale però non basta il talento, ci vuole la macchina, e la "fedele compagna" arriva nel 1988 ed è una McLaren. Subito il titolo e subito guerra con il compagno di squadra Prost, e poi altri due Mondiali, conditi da epiloghi infernali (in un caso gode il brasiliano, in un altro il francese) con il grande nemico, nel frattempo passato alla Ferrari.

Maranello non sarà mai la sua casa. Testimonianze attendibili raccontano che lo sarebbe diventata nel 1995, c'era già l'accordo con Enzo Ferrari, ma nel 1994 è la Williams a sostituire la McLaren. E' la sua ultima macchina, Imola è l'ultima pista, il settimo è il suo ultimo giro, Bologna l'ospedale in cui esala l'ultimo respiro, il momento che distrugge una speranza mai decollata, nonostante le preghiere di chi guardava quell'elicottero in volo, cercando di pensare ai sogni che regalava, e non alla malinconia che ogni tanto emanava dal suo sguardo.
La notizia della morte di Senna si sparge in un attimo e mette in ginocchio il Brasile. Ancora oggi la tomba numero 11 al cimitero di Morumbi, con quell'epitaffio semplice, "Nulla mi può separare dall'amore di Dio", è luogo di pellegrinaggio infinito. Nel ventennale della sua morte la sua figura è stata protagonista anche al Carnevale di Rio, con la scuola di samba 'Unidos da Tijuca' che ha vinto il primo premio raccontandone il mito con tanto di replica della sua McLaren, in mezzo a persone ancora disperate e in lacrime nonostante sia passato tanto tempo. A Senna i calciatori dedicarono il Mondiale del 1994 e la nazionale di adesso vorrebbe fare lo stesso il 13 luglio al Maracana. A Senna sono state intitolate strade, in Brasile in questi giorni lo ricorda una serie televisiva con record di ascolti. Se il casco è giallo, è Ayrton, l'orgoglio e la speranza mai morte del Brasile e dei suoi 200 milioni di abitanti.

Mito dopo e anche in vita, visto che quando furoreggiava ha ispirato anche un personaggio da cartoni animati, il Senninha, famoso fra tutti i bambini brasiliani. A lui veniva perdonato tutto, anche il suo poco amore per le zone degradate che non frequentava mai, la sua burrascosa vita sentimentale, un divorzio e poi diversi legami chiacchierati, esaltando invece il suo misticismo, quel suo continuo nominare Dio, che vedeva su una nuvola dietro ad una curva difficile o alla guida della sua macchina dopo un'esaltante pole strappata sul bagnato. Senna era un gran lavoratore, meticoloso, scrupoloso, fanatico nei dettagli, con quelle notti passate ai box con i meccanici. Odiava lo smoking, gradiva poco i night, spesso andava a letto presto, frequentando più la famiglia a San Paolo o la casa al mare che la mondanità. Un  brasiliano atipico anche nel rapporto con il calcio. Sbandierava passione per il Corinthians, la squadra dei ceti poveri di San Paolo, ma di pallone non capiva niente. Per lui c'erano solo macchine e motori, con la freddezza di chi non sbaglia mai. Nemmeno a Imola, quella maledetta domenica. A tradirlo è stata la macchina, la Williams, non la sua inquietudine o imperizia. Uno schianto ha portato via il corpo. Ma il mito sopravviverà  per sempre.

di STEFANO ZAINO
http://www.repubblica.it/sport/formulauno/2014/04/29/news/senna_speciale_zaino-84765321/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_01-05-2014

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