VENT'ANNI non
bastano per cancellare un mito. Se qualcuno osasse, ci sono due milioni di
bambini poveri brasiliani a ricordare il più grande di sempre studiando e
sognando un futuro grazie ai soldi della Fondazione che porta il suo nome.
Ayrton Senna era ed è ancora il Brasile, vent'anni dopo quel terribile
schianto, quel maledetto 1 maggio del 1994 che all'autodromo di Imola
sbriciolava la sua Williams e portava via la sua classe immensa e il suo
sorriso bello e triste. Erano le 14 e 17, un'ora che nessun brasiliano riuscirà
mai a dimenticare, più ancora delle 18 e 40, quando il suo cuore ha cessato di
battere, quando la devastante frattura al cranio ha costretto alla resa un
fenomeno che sembrava invincibile. Perché è già al momento dell'urto, alla
curva del Tamburello, maledetto quel piantone dello sterzo che va in tilt, che
tutti avevano capito. Senna, 34 anni compiuti da poco, in pista non aveva
rivali, soprattutto sul giro veloce, come dimostrano le sue 65 pole position,
soprattutto sotto la pioggia, con quella definizione di "mago del
bagnato" che gli faceva dribblare ogni pozzanghera e superare qualsiasi
rivale. Ma di fronte al destino che si mette di traverso, alla morte, non puoi
avere scampo e nemmeno il più grande pilota di tutti i tempi può resistere.
Di quel giorno
restano indelebili choc e lacrime. Per far capire quanto fosse amato dal suo
paese, basterebbe raccontare certe richieste che provengono dal Brasile agli
inviati sul posto. Normale l'ordine di raccontare il dolore, la tragedia, di
andare all'ospedale, di seguire la salma nel ritorno in patria. Ma c'è anche
un'inchiesta giudiziaria, un processo, un autodromo sequestrato, si sa che la
giustizia italiana non è proprio celere e poi l'episodio è delicato e
controverso, oltreché tremendamente grave, ma a qualcuno viene addirittura
chiesto di non tornare a casa fino a quando non sarà stata emessa la sentenza,
non saranno stati resi noti colpevoli, in altre parole, diversi anni o giù di lì.
Perché Senna con
i suoi trionfi, con la sua bandiera verde oro che sempre sventola sul podio, è
il cuore del Brasile, più ancora dei miti del calcio, Pelè o Garrincha, e il
cuore del Brasile non può morire, chi ha osato portarlo via deve pagare. Senna è
felicità, orgoglio, riscatto, è ambasciatore perché è amato da tutto il mondo,
qualunque sia il colore della sua macchina, perché è anima e brividi, esalta,
guida come un Dio, vince. Senna da San Paolo, la sua città natale, divide
anche, quei duelli all'ultima sportellata con Prost, quell'odio mai nascosto
con il rivale francese, ma anche quell'ammissione, "siamo diversissimi,
opposti, ma non potrei mai correre senza di lui", che inneggia alla
battaglia, riempie di adrenalina, e sa tanto di uomo vero, normale, alla
portata di tutti.
Senna è mito
anche per come si arriva alla sua morte, i tragici momenti prima, quella
vigilia così inquieta, già segnata da terribili incidenti, quello del venerdì,
per fortuna senza conseguenze, dell'amico Barrichello, quello tragico del
sabato, con la morte dell'austriaco Ratzemberger alla curva Villeneuve. Ayrton,
34 anni, già tre mondiali vinti, in quelle ore è inquieto: non vorrebbe
correre, troppi foschi presagi, regala ai posteri una frase tremenda,
"siamo pagati per divertirci, per appassionare la gente, non per
morire". Senna vorrebbe rinunciare, però sa che non può permetterselo: al
sabato è stato il più veloce, la solita pole, la domenica ha la bandiera
dell'Austria, la sventolerà sul podio, per onorare la memoria del collega
scomparso.
Il destino non
glielo permetterà, quello stendardo verrà ritrovato sporco di sangue, assieme
ai resti di una Williams, a cui mai si era adattato. Troppo stretto
l'abitacolo, troppo difficile da guidare e troppo complicato forse è anche il
rapporto con il team. Eppure lui è un tipo conciliante. Di origini borghesi, sa
farsi amare da tutti, anche dai poveri. Ha un carattere forte, ma anche garbo
ed educazione, con quell'ossessione di pace interiore che cerca sempre in Dio.
Predestinato, ha fatto capire sin dagli esordi che potrà diventare immenso.
Nelle serie minori macina successi e quando nel 1984, alla guida della Toleman,
fa il suo esordio in Formula Uno nel gp di casa, in Brasile, si capisce subito
che con quel pilota scatenato tutti dovranno fare i conti. La scuderia è
piccola, ma basta una goccia di pioggia e lui diventa irresistibile, con un
secondo posto a Montecarlo. Certo con la Lotus, più ambiziosa e ricca, è più
facile, sette pole position nell'85, sul singolo giro nessuno riesce a stargli
dietro. Per vincere il Mondiale però non basta il talento, ci vuole la
macchina, e la "fedele compagna" arriva nel 1988 ed è una McLaren.
Subito il titolo e subito guerra con il compagno di squadra Prost, e poi altri
due Mondiali, conditi da epiloghi infernali (in un caso gode il brasiliano, in un
altro il francese) con il grande nemico, nel frattempo passato alla Ferrari.
Maranello non sarà
mai la sua casa. Testimonianze attendibili raccontano che lo sarebbe diventata
nel 1995, c'era già l'accordo con Enzo Ferrari, ma nel 1994 è la Williams a sostituire
la McLaren. E' la sua ultima macchina, Imola è l'ultima pista, il settimo è il
suo ultimo giro, Bologna l'ospedale in cui esala l'ultimo respiro, il momento
che distrugge una speranza mai decollata, nonostante le preghiere di chi
guardava quell'elicottero in volo, cercando di pensare ai sogni che regalava, e
non alla malinconia che ogni tanto emanava dal suo sguardo.
La notizia della
morte di Senna si sparge in un attimo e mette in ginocchio il Brasile. Ancora
oggi la tomba numero 11 al cimitero di Morumbi, con quell'epitaffio semplice,
"Nulla mi può separare dall'amore di Dio", è luogo di pellegrinaggio
infinito. Nel ventennale della sua morte la sua figura è stata protagonista
anche al Carnevale di Rio, con la scuola di samba 'Unidos da Tijuca' che ha
vinto il primo premio raccontandone il mito con tanto di replica della sua
McLaren, in mezzo a persone ancora disperate e in lacrime nonostante sia
passato tanto tempo. A Senna i calciatori dedicarono il Mondiale del 1994 e la
nazionale di adesso vorrebbe fare lo stesso il 13 luglio al Maracana. A Senna
sono state intitolate strade, in Brasile in questi giorni lo ricorda una serie
televisiva con record di ascolti. Se il casco è giallo, è Ayrton, l'orgoglio e
la speranza mai morte del Brasile e dei suoi 200 milioni di abitanti.
Mito dopo e anche
in vita, visto che quando furoreggiava ha ispirato anche un personaggio da
cartoni animati, il Senninha, famoso fra tutti i bambini brasiliani. A lui
veniva perdonato tutto, anche il suo poco amore per le zone degradate che non
frequentava mai, la sua burrascosa vita sentimentale, un divorzio e poi diversi
legami chiacchierati, esaltando invece il suo misticismo, quel suo continuo
nominare Dio, che vedeva su una nuvola dietro ad una curva difficile o alla guida
della sua macchina dopo un'esaltante pole strappata sul bagnato. Senna era un
gran lavoratore, meticoloso, scrupoloso, fanatico nei dettagli, con quelle
notti passate ai box con i meccanici. Odiava lo smoking, gradiva poco i night,
spesso andava a letto presto, frequentando più la famiglia a San Paolo o la
casa al mare che la mondanità. Un brasiliano atipico anche nel rapporto
con il calcio. Sbandierava passione per il Corinthians, la squadra dei ceti
poveri di San Paolo, ma di pallone non capiva niente. Per lui c'erano solo
macchine e motori, con la freddezza di chi non sbaglia mai. Nemmeno a Imola,
quella maledetta domenica. A tradirlo è stata la macchina, la Williams, non la
sua inquietudine o imperizia. Uno schianto ha portato via il corpo. Ma il mito sopravviverà
per sempre.
di STEFANO ZAINO
http://www.repubblica.it/sport/formulauno/2014/04/29/news/senna_speciale_zaino-84765321/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_01-05-2014
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